SOMEWHERE
Somewhere over the rainbow, skies are blue
And the dreams that you dare to dream,
Really do come true.
[ Il Mago di Oz ]
Per me fotografare da sette anni vuol dire partire per un viaggio, porsi un obiettivo più o meno interessante e vedere cosa “accade” nel tragitto. Il percorso per alcuni può esser lungo, per altri insignificante: io cerco di collocarlo nello spazio percorribile in un pomeriggio o in una giornata da un punto A ad un punto B (in auto o a piedi); prendo i miei apparecchi analogici e digitali e cerco di “non tornare a casa a mani vuote”.
Tutto il resto è una scelta istintiva: la destinazione può variare in base all’ora, al meteo, allo stato d’animo con cui mi alzo, così quanto il fermarsi se si coglie qualcosa, il ripensarci, il tornare indietro o procedere oltre.
A volte ho un progetto, a volte faccio delle ricerche, più volte no: è un unico grande dialogo visivo sul paesaggio italiano.
Quando poi cerco di raccogliere gli scatti in un corpus, ordinarli, per lo più mi sento rivolgere la stessa domanda: “vorrei saperne di più sulla storia che c’è dietro”; la cosa strana è che si tratta di paesaggi quotidiani che spesso attraversiamo senza particolare attenzione.
Io non conosco la storia, non faccio documentari o reportage, sfrutto semplicemente il mio “dizionario visuale”: dovrei sdraiarmi su un lettino da psicanalista per capire cosa mi abbia ispirato in quella foto.
L’ho scelta e qualcun altro, vedendola, forse se ne è sentito attratto. È un incontro tra due mondi immaginari, tra due universi emotivi: il mio e quello dell’osservatore.
Ho realizzato questa selezione, in occasione del 40mo anniversario della scomparsa Gianni Rodari (e centenario della nascita). Ho voluto coglierne l’aspetto più fantasioso immaginandomi un piccolo dialogo.
Alla fine siamo rimasti in due, a sfogliare questo progetto(1), io e Giovannino Perdigiorno(2).
Sai, queste foto le intitolerei tutte somewhere (da qualche parte), perché sono incontri occasionali: mi attrae molto più quel che evocano della loro possibile storia…
Io invece vorrei saperne di più. Perché stai creando queste immagini? Perché proprio queste? Qualcuno potrebbe essere interessato alle storie che racchiudono…
Ma «l’enorme potere di rivelazione che ogni nostro sguardo può contenere» di cui diceva Ghirri(3), allora? Non serve a nulla?
Dovresti ricostruire il mondo attorno alle foto. Coinvolgere più efficacemente chi le guarda...
Ma l'osservatore non lo può fare da solo? Il fantastico pare quasi un territorio dimenticato, dove un tempo tutti raccontavano storie…
... tutti, però, adorano sentirsi raccontare delle storie…
Facciamo così, guarda: “C'era una volta - il «bellissimo imperfetto» secondo Rodari - un fotografo che pensava si potesse ancora ritrarre il 'paesaggio italiano' giusto per il piacere di caricare i suoi apparecchi fotografici su quattro ruote e correre a fantasticare sul quotidiano...”
(1) Parafrasando l’incipit della postfazione di “Vivere a Milano” (1976) di Aldo Bonasia, testi di Nanni Balestrini.
(2) Personaggio inventato da Gianni Rodari in Favole al Telefono (1962).
(3) Luigi Ghirri - serie diaframmi - Modena 1972.
Matteo Santoni (all'anagrafe Massimo), è un fotoamatore che vive a Negrar (VR) e nato a Verona nel 1968. Cresciuto prima a Merano (BZ) e poi a Peschiera del Garda (VR) si trasferirà in varie città d’Italia, tra cui Milano e Bari, praticando diverse professioni nel campo informatico e dedicandosi a diverse ricerche in ambito creativo, comunicativo e artistico.
Dal 2012 fotografa il paesaggio italiano focalizzandosi sui possibili meccanismi evocativi, tra cui la confabulazione e la memoria collettiva.
Ha realizzato tre pubblicazioni: "La Colazione dei Cannibali” (2014), sui luoghi abbandonati in Valpolicella, “L’inganno nel Tempo” (2016), una riflessione sul tempo e la fotografia analogica e “I roghi nel cuore” (con presentazione e mostra allo spazio “La Sobilla” nel 2019), sui luoghi di cronaca nera a Verona.
Ha esposto nel 2017 alla OFF di Fotografia Europea in Via Due Gobbi 3 con il progetto “Déjà-vu Italiano” .
www.dlsan.org
ENG VERSION
SOMEWHERE
For me, photographing for seven years means leaving on a journey, setting yourself a more or less interesting goal and seeing what "happens" on the way. The path may be long for some, for others insignificant: I try to place it in the space that can be covered in an afternoon or a day from point A to point B (by car or on foot); I take my analog and digital devices and try not to go back home empty- handed. All the rest is an instinctive choice: the destination can vary based on the time, the weather, the mood with which I get up, as well as stopping if you catch something, rethinking it, going back or going further. Sometimes I have a project, sometimes I do research, several times not: it is a single great visual dialogue on the Italian landscape. Then when I try to collect the shots in a corpus, organize them, I mostly feel the same question: "I would like to know more about the story behind it"; the strange thing is that these are everyday landscapes that we often go through without particular attention. I don't know the story, I don't make documentaries or reportages, I simply use my "visual dictionary": I should lie down on a psychoanalyst's bed to understand what inspired me in that photo. I chose it and someone else, seeing it, perhaps felt attracted to it. It is a meeting between two imaginary worlds, between two emotional universes: mine and that of the observer. I made this selection on the occasion of the 40th anniversary of the death of Gianni Rodari (and centenary of the birth).
I wanted to capture its most imaginative aspect by imagining a small dialogue. In the end we were two, to browse this project, me and Giovannino Perdigiorno.
You know, I would name all these photos somewhere, because they are occasional encounters: what they evoke of their possible history attracts me much more ...
I would like to know more. Why are you creating these images? Why exactly these? Someone might be interested in the stories they contain ...
But "the enormous power of revelation that each of our gaze can contain" of which Ghirri said, then? Is it useless?
You should rebuild the world around photos. Involve the viewer more effectively ...
But can't the observer do it alone? The fantastic seems almost a forgotten territory, where once everyone told stories ...
... however, everyone loves being told stories ...
Let's do this, look: “Once upon a time - the« beautiful imperfect »according to Rodari - a photographer who thought he could still portray the 'Italian landscape' just for the pleasure of loading his cameras on four wheels and running daydreaming... "