Nontiscordardimé / Forget-me-not
di/by Francisco Macfarlane e/and Francesco Pennacchio
a cura di/curated by Francesco Pennacchio
in collaborazione con/in collaboration with Experimental Photo festival 2024 - Horizontal Portfolio Review
EN
In an age where we encounter more images by midday than a 19th-century individual saw in a lifetime, does the image still hold significance? Can it still carry the weight of transformation, of revelation?
Francisco Macfarlane and Francesco Pennacchio explore these questions from two distinct perspectives, using imagemaking to confront absence and evoke rebirth. Macfarlane confronts the fragility of the human condition in an era defined by hyperconnectivity, where meaning often drowns in a sea of fleeting moments. Pennacchio, by contrast, reconstructs fragmented memories of his mother, who was lost to him in early childhood, filling the void with resonances of her presence.
Both artists are driven by ruptures - gaps in identity, memory, and belonging. For Macfarlane, absence emerges as a crisis of human connection in the digital era; for Pennacchio, it is a haunting presence-absence that demands reconstruction. Yet, through their individual exploration, they arrive at a shared understanding: the image is not merely a document or artifact. It is a vessel, capable of holding grief, summoning remembrance, and birthing something anew.
Here, the works of the two artists engage in dialogue. Macfarlane investigates social behaviors, employing alternative photographic techniques to address themes such as our relationship with technology and personal healing. From a more figurative perspective, Pennacchio, tries to reconstruct memory and deal with a childhood grief through archival photographs, polaroids, and film photography.
In their hands, the image becomes a site of healing, a space where absence is acknowledged, and rebirth is made possible. Sometimes, their images transcend the boundaries of space and time, collapsing the distance between what was, what is, and what could have been. They invite us to navigate memory and presence as fluid, interwoven dimensions, and they challenge us to rediscover the image as a source of transformation in a world saturated with visual noise.
Pennacchio was 3 when he asked his question. It was the spring after his mother, Emanuela, died of cancer.
This conversation took place in the garden, an ecosystem governed by annual cycles, transforming with the seasons and revealing the different stages of life. It took place in the garden, our point of connection with nature and a powerful sensory stimulator. And a garden is what is reconstructed in this inner room, at the heart of the exhibition. A place which naturally evokes memory and the passage of time.
Historically, we associate spring with rebirth and autumn with decay, constructing narratives that refer to moments lived or idealized memories. Yet, even in nature, what appears as rebirth may more accurately be the arrival of the new generation. This play between life and death, intrinsically linked to the garden, raises questions about the nature of memories. Are these memories a true connection with what happened, or are they evolving entities - alive, mutable, and thriving as we engage with them? Like a well-tended plant, memory grows and transforms with care and attention, shaping itself anew each time we revisit it. As for the main room, the two artists engage here in a dialogue between their practice.
Macfarlane makes plantogramms, simplifying several steps of the traditional photographic process to represent the essence of the natural world. Through this procedure, the textures, shapes, and details of the plants are printed directly onto the paper. This method establishes a more intimate and organic link with the natural world, as it involves the act of walking the streets, collecting, and carefully observing the sprouts that emerge around him. These plants become protagonists and narrators, leaving an imprint on the paper that evokes at the same time the fragility and persistence of time.
Pennacchio juxtaposes the uninterrupted cycles of renewal in the natural world with the broken, fragmented family memories of his own, represented by frames from the family archive. His polaroids are presented as metaphors for physical building blocks in the reconstruction of his missing memory. This dialogue between new and archival images becomes an attempt to engage in never-had conversations, seeking to bridge past and present. His work suggests that memory is not static; it is alive, shifting and adapting as we nurture it. A perfect metaphor is the jasmine vine, here represented, that Pennacchio’s mother, Emanuela, planted and nurtured, and which continues to bloom each year, a living testament to her presence.
IT
In un’epoca in cui, entro mezzogiorno, siamo esposti a più immagini di quante ne vedesse un individuo del XIX secolo in una vita intera, l’immagine conserva ancora un significato? Può ancora essere veicolo di trasformazione, di rivelazione?
Da prospettive distinte ma convergenti, Francisco Macfarlane e Francesco Pennacchio esplorano il processo di creazione delle immagini come strumento per confrontarsi con un’assenza e per evocare una rinascita. Macfarlane indaga la fragilità della condizione umana in un’era segnata dall’iperconnettività, dove il significato spesso si disperde in un flusso incessante di istanti fugaci. Pennacchio, invece, ricostruisce frammenti di memoria legati alla madre, scomparsa nell’infanzia, cercando di colmare tale vuoto con le risonanze della sua presenza.
Entrambi gli artisti partono da fratture: assenze che toccano l’identità, la memoria e il senso di appartenenza. Per Macfarlane, l’assenza si manifesta come una crisi della capacità dell’uomo di tessere relazioni nell’epoca digitale; per Pennacchio, come una presenza-assenza che esige un lavoro di ricostruzione. Tuttavia, attraverso percorsi creativi distinti, giungono a una visione comune: l’immagine non è solo un documento o un artefatto. È un contenitore che può accogliere il dolore, evocare il ricordo e generare nuova vita.
Qui, le opere dei due artisti entrano in dialogo. Macfarlane esplora comportamenti sociali, utilizzando tecniche fotografiche alternative per affrontare il nostro rapporto con la tecnologia. Da una prospettiva più figurativa, Pennacchio cerca di ricostruire la memoria e di elaborare un lutto infantile attraverso fotografie d’archivio, polaroid e fotografia analogica.
Nelle loro mani, l’immagine diventa un luogo di guarigione, uno spazio in cui l’assenza viene riconosciuta e la rinascita resa possibile. Talvolta, le loro opere trascendono i limiti dello spazio e del tempo, dissolvendo la distanza tra ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarebbe potuto essere. Invitano lo spettatore a esplorare memoria e presenza come dimensioni fluide e intrecciate, e ci sfidano a riscoprire il potenziale trasformativo dell’immagine in un mondo sovraccarico di rumore visivo.
Pennacchio aveva 3 anni quando fece questa domanda. Era la primavera successiva alla morte della madre, Emanuela, scomparsa a causa di un cancro.
Accadde in giardino, un ecosistema governato da cicli annuali, che si trasforma con le stagioni ed è simbolo delle diverse fasi della vita. Accadde in giardino, punto di connessione con la natura e un potente stimolo sensoriale. Ed è proprio un giardino quello che viene ricostruito in questa stanza interna, al cuore della mostra. Un luogo che evoca naturalmente la memoria e il passare del tempo.
Storicamente, associamo la primavera alla rinascita e l’autunno alla decadenza, costruendo narrazioni che rimandano a momenti vissuti o a ricordi idealizzati. Eppure, anche in natura, ciò che appare come una rinascita è spesso, più precisamente, l’arrivo di una nuova generazione. Questo gioco tra vita e morte, decadimento e rinascita, solleva interrogativi sulla natura dei ricordi. Questi ricordi sono una connessione autentica con ciò che è stato o entità evolutive - vive, mutevoli, e in continua trasformazione man mano che interagiamo con esse? Come una pianta ben curata, la memoria cresce e si trasforma con attenzione e dedizione, rinnovandosi ogni volta che la riviviamo. Nella sala principale, i due artisti dialogano attraverso le loro pratiche su temi di memoria, cura, e rinascita.
Macfarlane presenta qui i suoi plantogrammi, semplificando diversi passaggi del processo fotografico tradizionale per ricondurci alla sua essenza. Attraverso questa tecnica, le trame, le forme e i dettagli delle piante vengono impressi direttamente sulla carta. Questo metodo stabilisce un legame più intimo e organico, coinvolgendo l’atto di camminare per le strade, raccogliere e osservare attentamente i germogli che emergono intorno a lui. Queste piante diventano protagoniste e narratrici, lasciando un’impronta sulla carta che evoca la fragilità e la persistenza del tempo.
Pennacchio giustappone i cicli ininterrotti di rinnovamento della natura con i suoi ricordi familiari frammentati o mancanti, rappresentati da fotogrammi dell'archivio di famiglia. Le sue polaroid si presentano come metafore dei mattoni necessari per la ricostruzione di una memoria assente. Questo dialogo tra nuove immagini e immagini d'archivio diventa un tentativo di avviare conversazioni mai avute, cercando di creare un ponte tra passato e presente. Il suo lavoro suggerisce che la memoria non è statica; è viva, mutevole e si ricompone man mano che la coltiviamo. Una metafora perfetta è il gelsomino, qui raffigurato, che la madre di Pennacchio, Emanuela, piantò e curò, e che continua a fiorire ogni anno, un testimone vivente della sua presenza.
BIOS
Francesco Pennacchio
EN
Francesco Pennacchio is an Italian photographic artist who settled in Switzerland for over a decade. His work as an artist is driven by his familiarity with the themes of the invisible: memory, identity, bereavement and time. His practice is rooted in the documentary tradition. With a decade of experience with the digital medium, he evolved to instant and analogic photography, archive exploration and re-elaboration. His objective is connecting the here and now and the past and blend them into an instant of juncture.
Holder of a PhD in Physical Chemistry from EPFL Lausanne, in 2020 he graduated with a Master of Arts Distinction degree in Photojournalism and Documentary Photography from London College of Communication, University of the Arts London. His work has been exhibited, published and reviewed internationally (Italy, Switzerland, UK and the Netherlands). He is one of the winners of the PhEST Open Call 2023.
He has been the curator of the festival PhotoGenève 2024 and has been selected for the Masterclass Program CURAE on curatorial practices, organised by PhMuseum, Bologna-Italy, led by Erik Kessels. He has been responsible for staff and logistics at the Biennale Images Vevey 2024, and project manager for the photobook fair Booklette 2024.
IT
Francesco Pennacchio è un artista fotografico italiano che vive in Svizzera da oltre un decennio. Il suo lavoro è guidato da una profonda familiarità con i temi dell’invisibile: memoria, identità, lutto e scorrere del tempo. La sua pratica artistica affonda le radici nella tradizione documentaria. Dopo un decennio di esperienza con il mezzo digitale, è passato alla fotografia istantanea e analogica, all’esplorazione e rielaborazione di archivi. Il suo obiettivo è connettere il presente e il passato, fondendoli in un istante di congiunzione.
Pennacchio ha conseguito un dottorato in Chimica Fisica presso l’EPFL di Losanna e, nel 2020, ha ottenuto con lode un Master of Arts in Photojournalism and Documentary Photography presso il London College of Communication, University of the Arts London. Il suo lavoro è stato esposto, pubblicato e recensito a livello internazionale (Italia, Svizzera, Regno Unito e Paesi Bassi). È uno dei vincitori della PhEST Open Call 2023.
Nel 2024 è stato curatore del festival PhotoGenève ed è stato selezionato per il Masterclass Program CURAE sulle pratiche curatoriali, organizzato da PhMuseum a Bologna e diretto da Erik Kessels. Ha ricoperto il ruolo di responsabile dello staff e della logistica per la Biennale Images Vevey 2024 ed è stato project manager per la fiera del libro fotografico Booklette 2024.
Francisco Macfarlane
EN
Francisco Macfarlane is an Argentine photographer and sound engineer currently based in Berlin, Germany. His artistic practice revolves around black-and-white analog darkroom techniques, often employing alternative methods that transcend traditional photography by materializing sounds, organic matter and various chemical substances. Through his work, he investigates the impact of technology in the era of hyperconnectivity, reflecting on how it alters the ways we create, perceive and share images. Central themes in his projects include instantaneity, the disconnection from the natural and real and the erosion of waiting as a temporal experience.
Initially trained in Architecture in Buenos Aires (2011–2015), he later pursued studies in Sound Engineering at SAE Berlin (2018–2019) and Photography at Neue Schule für Fotografie Berlin (2021). He is a member of the artistic collective Stattlab e.V. in Berlin and has worked as a cultural manager at Monopol Berlin (2022).
IT
Francisco Macfarlane è un fotografo e ingegnere del suono argentino che attualmente vive a Berlino, in Germania. La sua pratica artistica ruota attorno alle tecniche di camera oscura analogica in bianco e nero, spesso impiegando metodi alternativi che trascendono la fotografia tradizionale materializzando suoni, materia organica e varie sostanze chimiche. Attraverso il suo lavoro, indaga l'impatto della tecnologia nell'era dell'iper connettività, riflettendo su come essa alteri i modi in cui creiamo, percepiamo e condividiamo le immagini. I temi centrali dei suoi progetti includono l'istantaneità, la disconnessione dal naturale e dal reale e l'erosione dell'attesa come esperienza temporale.
Inizialmente formatosi in architettura a Buenos Aires (2011-2015), ha poi proseguito gli studi in ingegneria del suono alla SAE di Berlino (2018-2019) e in fotografia alla Neue Schule für Fotografie di Berlino (2021). È membro del collettivo artistico Stattlab e.V. di Berlino e ha lavorato come manager culturale presso Monopol Berlin (2022).