Palestina 1983-2011

Esercito Popolare Palestinese.

Quel giorno, il primo di gennaio del 1989, i Territori Occupati della West Bank erano stati sigillati, i comandi militari delle Forze di difesa israeliane, l' esercito di Tzahal, avevano imposto il coprifuoco e chiusi tutti i valichi di accesso alla Palestina, dove da più di un anno, dalla fine del dicembre del 1987, era scoppiata l'Intifada palestinese, la rivolta iniziata nel campo profughi di Jabalia, nella Striscia di Gaza, contro l'occupazione israeliana iniziata con la Guerra del Sinai nel 1956, e successivamente con la Guerra dei Sei Giorni, giugno 1967, e terza delle guerre arabe israeliane dalla fondazione dello Stato d' Israele nel maggio 1948.

Ero riuscito a penetrare la fitta maglia dispiegata dall'esercito il giorno precedente, prima che i controlli fossero più capillari, avendo saputo dai miei informatori che nei pressi di Kafir Malik, nel villaggio di Abù Falah a nord di Ramallah, ci sarebbero state le celebrazioni per il trentesimo anniversario della fondazione di Al Fatah, " l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina ", e la commemorazione, a seguito della sua uccisione eseguita da un commando del Mossad israeliano a Tunisi, avvenuta l'anno prima, di Khalil Ibràhim Mahmùd al-Wazìr, nome di battaglia, Abù Jihàd, fondatore insieme ad Yasser Arafat, nome di battaglia Abù Ammàr, della componente militare di tale organizzazione.

Per l'occasione, avrebbe fatto il suo esordio l'Esercito Popolare Palestinese, nascente componente paramilitare, formata da giovani, tra i quali, molti di loro erano gli stessi partecipanti ai quotidiani scontri con i soldati israeliani dall'inizio dell'Intifada. Le bandiere palestinesi, vietate dai vertici israeliani, sventolavano ovunque, il tutto sembrava una grande festa in attesa di veder sfilare, e sfidando il coprifuoco, i componenti paramilitari di questo nascente esercito armato di ideologia, catene, pietre e bastoni, le uniche armi in loro possesso. Scaturiti dal nulla, essi apparvero improvvisamente ai tanti in attesa, occorsi dai villaggi vicini. Avvolti da tuniche nere e il volto celato da cappucci o da kefiah, la sciarpa in bianco e nero, divenuta simbolo della stessa Palestina, avevano solo gli occhi attenti e guardinghi percepibili attraverso la trama del tessuto. Ragione del loro mascheramento, il celare la loro identità, era una autodifesa per non svelare il loro essere a presunti delatori presenti, il più delle volte vittime costrette a far da spie, ricattati dai comandi di occupazione, gli unici a rilasciare una qualsiasi autorizzazione inclusi i permessi di lavoro.

Quando in formazione, allineati dietro una grande bandiera palestinese, i componenti del nascente esercito iniziò a marciare attraverso le strade del villaggio tra ali di folla, erano in molti ad applaudire quella esibizione marziale, di chi iniziava a prendere coscienza che una ferrea disciplina, era la sola da poter contrapporre al nemico, se si voleva raggiungere un giorno, una libertà tanto desiderata. Poi i componenti il commando, terminata la loro parata, schierati e dominanti la folla sottostante, iniziarono i loro editti politici, e le commemorazioni in ricordo di Abù Jihàd.

Fu allora, mentre riprendevo le loro sagome inquietanti, disposte a difesa degli oratori, che apparve una mamma con in braccio un neonato, avvolto nella kefiah, per proteggerlo dal freddo. Lei si avvicinò verso di me, mostrandomi la sua creatura, con le braccia protese, come a donarmelo. Voleva che fotografassi il suo piccolo Ahmed, ma accortesi che fotografando lui, avrei ritratto anche lei, ed essendo una donna di fede musulmana, pose il suo bambino nelle braccia di uno degli incappucciati. Il tempo di un attimo, e si aggiunsero anche altri del gruppo. In otto si disposero a ventaglio ponendo la loro attenzione in parte verso di me, in parte verso il piccolo, il quale a differenza dei suoi custodi, aveva parte del viso scoperto, e i piccoli piedi nudi, che da soli potevano essere racchiusi nel palmo di una mano.

Mentre la mia foto prendeva forma, studiandone l'inquadratura, intravedevo in essa, ciò che ai pastori era apparso dopo essere accorsi verso quella grotta di Bethlehem dove si dice fosse nato Gesù, rappresentato poi nella composizione del presepe, o come nella magia dei pennelli dei tanti pittori, cimentatosi nel raffigurare la Natività nella storia dell'arte. Non era forse quello lo stesso luogo, quella stessa Palestina Biblica di vecchi e nuovi Testamenti? Inoltre, considerando il contesto politico, man mano che la foto prendeva forma, pensavo che quegli stessi incappucciati, stavano cercando con le loro azioni, di dare un senso e un connotato alla loro lotta, nel credere di ottenere l'indipendenza e la creazione del nuovo Stato, e io lo vedevo rappresentato da quel neonato avvolto proprio in quello che ne era il simbolo, quel panno in bianco e nero, la bandiera della lotta che è la Kefiah Palestinese. Il solo peccato di presunzione nel ritrarre quell'immagine, è che essa non sarà mai in grado a che il corso della storia possa avvalersi di questa foto, per creare una Nazione Indipendente.

© Francesco Cito

Francesco Cito

Francesco Cito, è nato a Napoli il 5 maggio 1949. Interrotti gli studi si trasferisce a Londra nel 1972 per dedicarsi alla fotografia. Per sopravvivere nella capitale britannica degli anni 70, si adatta ai più svariati mestieri, dal lavapiatti in un ristorante in King's Road, al facchino dei Magazzini Harrod's.

L' inizio in campo fotografico 1975, avviene con l' assunzione da parte di un settimanale di musica pop-rock (Radio Guide mag.), e per esso gira l' Inghilterra, fotografando concerti e personaggi della musica leggera. In seguito, divenuto fotografo free-lance, inizia a collaborare con The Sunday Times mag., che gli dedica la prima copertina per il reportage "La Mattanza". Successivamente collabora anche con L'Observer mag.

Nel 1980, è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l'Afghanistan occupato con l'invasione dell'Armata Rossa, e al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i sovietici, percorre 1200 KM a piedi. Sue le foto dei primi soldati della Stella Rossa caduti in imboscate.

Nel 1982 - 83, realizza a Napoli un reportage sulla camorra, pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche, nazionali ed estere. Sempre a Napoli nel 1978 on assignment per The Sunday Times mag. aveva realizzato, un reportage sul contrabbando di sigarette dallo interno dell'organizzazione contrabbandiera.

Nel 1983 è inviato sul fronte Libanese da Epoca, e segue il conflitto in atto fra le fazioni palestinesi; i pro siriani del leader Abu Mussa, e Yasser Arafat e i suoi sostenitori. E' l'unico foto-giornalista a documentare la caduta di Beddawi (campo profughi), ultima roccaforte di Arafat in Libano. Seguirà le vari fasi della guerra civile libanese, fino al 1989.

Nel 1984 si dedica alle condizioni del popolo palestinese all'interno dei territori occupati della West Bank (Cisgiordania) e la Striscia di Gaza. Seguirà tutte le fasi della prima "Intifada" 1987 - 1993 e la seconda 2000 - 2005. Resta ferito tre volte durante gli scontri. Nel 1994 realizza per il tedesco Stern mag. un reportage sui coloni israeliani oltranzisti. Nell'aprile 2002, è tra i pochi ad entrare nel campo profughi di Jenin, sotto coprifuoco durante l'assedio israeliano, alle città palestinesi. Nel 1989 è inviato in Afghanistan dal Venerdì di Repubblica e ancora clandestinamente a seguito dei "Mujahiddin" per raccontare la ritirata sovietica. Tornerà in quelle aree di nuovo nel 1998 inviato dal settimanale Panorama, con l'intento di incontrare Osama Bin Laden. Intento non andato a buon fine a causa l'inizio dei bombardamenti americani. Nel 1990, è in Arabia Saudita nella prima "Gulf War" con il primo contingente di Marines americani dopo l'invasione irachena del Kuwait. Seguirà tutto il processo dell'operazione "Desert Storm" e la liberazione del Kuwait 27 - 28 febbraio 1991. Nei suoi viaggi attraverso il Medio Oriente, in più occasioni ha focalizzato il suo interesse a raccontare i vari aspetti dell'Islam dal Pakistan al Marocco.

Negli anni 90 segue le varie fasi dei conflitti balcanici. Nel 2000 realizza un reportage sul " Codice Kanun ", l'antica legge della vendetta di origini medievali nella società albanese In Italia si occupa spesso di casi di mafia, ma anche di eventi come il Palio di Siena che gli varrà il primo premio al World Press Photo 1996 ed altri rilevanti aspetti della società contemporanea. Dal 1997 l' obiettivo è anche puntato sulla Sardegna fuori dagli itinerari turistici, tra il sociale e le tradizioni, lavoro già in parte racchiuso in in foto-libro.

Nel 2007 è invitato dal Governatorato di Sakhalin (Russia), l'isola ex colonia penale raccontata da Checov, per un lavoro fotografico, sul territorio, illustrando la vita e le attività produttive, a seguito della scoperta di ingenti giacimenti petroliferi. Lavoro divenuto una mostra e un foto libro editato in Russia.

Nel 2012 la prestigiosa casa di gioiellieri parigini "Van Cleef & Arpels" gli commissiona la realizzazione di un lavoro fotografico, in cui descrivere l'operosità attraverso le mani dei loro artigiani, nel confezionare i gioielli più esclusivi del mondo, raccontati in un volume stampato in 35mila copie in nove lingue.

1995 il World Press Photo gli conferisce il terzo premio Day in the Life per il "Neapolitan Wedding story "

1996 il World Press Photo gli conferisce il primo premio per il Palio di Siena.

1997 l'Istituto Abruzzese per la storia d'Italia contemporanea, gli conferisce il premio "Città di Atri" per l'impegno del suo lavoro sulla Palestina.

2001 il Leica Oskar Barnak Award lo segnala con una Menzione d'Onore per il reportage "Sardegna"

2004 riceve il premio Città di Trieste per il Reportage. I° edizione

2005 riceve il premio: La fibula d'oro, a Castelnuovo Garfagnana (LU) 2005 riceve il premio " Werner Bischof " Il flauto d'argento ad Avellino

2006, l'associazioni FIAF lo insigna del titolo "Maestro della fotografia italiana.

2006 vince il premio Bariphotocamera

2007 riceve il premio Benevento

2009 vince il premio San Pietroburgo (Russia) 2009 insignito del premio Antonio Russo per il reportage di guerra, (Pescara)

2013 Vince il primo premio Canon - Mondadori

Ha collaborato e pubblicato sulle maggiori riviste nazionali e straniere:

Bunte, Epoca; l'Europeo; Figaro mag; Frankfurter Allgemeine mag; Illustrazione Italiana; Il Venerdì di Repubblica; The Indipendent; Io Donna; Il Sole 24 Ore mag; L'Express; Life; The Observer mag; Panorama; Paris Match; Sette-Corriere della Sera; Smithsonian mag; Stern; Sunday Times; Traveler; Zeit mag

www.francescocito.it