da "Il Miracolo degli occhi"  Progetto didattico con i ragazzi delle enclave serbe in Kosovo e Metohija, libro e mostra a cura di Monika Bulaj.

Fotografie realizzate dai bambini del laboratorio

curatela: Monika Bulaj

organizzazione: Grenze-Arsenali Fotografici

prodotta da Amici di Dečani 

Cosa protesti insegnare?

Monika Bulaj

“Eravamo a Prizren, a due passi da un’antica casa di preghiera dei sufi albanesi, in un seminario serbo sventrato dalle fiamme. Attorno, nel centro medievale di questa città, la più multiculturale del Kosovo e capitale della vecchia Serbia, che finge di non guardare, vedo ovunque gli scheletri carbonizzati delle case dei serbi, lasciate come una lapide dal pogrom del 2004. Era sembrato un gioco di parole, caso mai m’avesse preso sul serio.

Ma se invece fosse accaduto tutto in maniera differente? Per scoprire di nuovo, di non essere tu, a decidere. L’uomo che ho di fronte spazia tra le preghiere e l’impegno per poveri e malati, conosce a menadito la storia dei Balcani, ti regala storie di viaggio alla Chatwin e ti fa una domanda a tradimento: “Ma… alla fine dei conti, tu sai fare qualcosa? Cosa potresti insegnare ai bambini delle enclavi serbe più disperate del Kosovo?”

“Non so un granché. Ma sì, i trampoli. Il teatro di strada. Una volta… Tempo fa… Troppo tempo fa. E la fotografia. Forse”. Appena finita la mia conferenza sul misticismo nelle tre religioni del Libro per un gruppo di bizantinisti, di nuovo avevo incrociato lo sguardo di quest’uomo gentile e barbuto che mi fa domande strane. Proprio a Prizren, penso, dovrebbero ballare sui trampoli i

bambini serbi con le musiche gitane? Il Kosovo. Ripasso quel poco che so. Muri ovunque. Vittime

da ambedue le parti e memorie insepolte. Il genocidio culturale dell’ortodossia e le ombre di una guerra, in una terra dove si disseppellivano cadaveri centenari per infiammare una rabbia nuova. L’irreale bellezza dei monasteri di Metohija e i monumenti alle auto dei comandanti dell’Uck.

Il bazooka contro gli affreschi, il cemento contro i muri a secco, le discariche a cielo aperto contro i giardini fioriti. È proprio questo, penso, che serve ai bambini di Velika Hoča, in una terra macchiata dall’orrore degli omicidi etnici per il traffico degli organi? Alcuni corpi di serbi sono stati riportati al villaggio, gettati sventrati nella campagna, perché tu non possa mai più guardarla come un campo di grano. Alcuni non sono stati mai più trovati, per uccidere anche la pietà.

Come si può insegnare ai bambini di Velika Hoča a guardare e fotografare con occhi incantati la loro terra? Terra difficile, il Kosovo, una guerra senza fine nel cuore dell’Europa. ….

“Quando viaggi guarda con occhi nuovi”, dico al pomeriggio al bambino che non è mai uscito dalla enclave per camminare sui prati dei vicini. Tu puoi avere occhi nuovi anche per le cose che conosci. La fotografia è un racconto di chi sei, della tua anima. È distacco e partecipazione. Significa essere dentro le cose, ma con la possibilità di vederle e riconoscerle. Ti permette di essere molto vicino alle persone ma in un modo diverso. È il gioco degli occhi.

ENG

What could you teach?

Monika Bulaj

“We were in Prizren, few steps away from an ancient Albanian Sufis’ prayer house, hosted in a Serbian seminary which walls are blackened due to the flames of war. This city used to be one of the old Serbia’s capitals and it is now considered as the most multicultural of Kosovo. I look around its medieval core and all I can see are the charred remains of the Serbian’s houses, left like gravestones after the pogrom occurred in 2004. I wonder how things would be if they would had taken a different direction. Then I realize that I am not the one who gets to decide. 

A man in front of me ranges between prayers and travelling stories as a Chatwin’s book; his truly committed to the poor and sick and he knows the detailed story of the Balkans. He looks up and asks me the trickiest question: “So… can you do anything? Is there something you can teach to the children coming from the most desperate Serbian enclaves in Kosovo?”

“I don’t know a whole lot. I know how to walk on stilts. The street theatre. Back in the day… A long time ago. And maybe photography”. 

Once the conference came to an end, a lecture that I was taking to a group of Byzantine about mysticism, my eyes crossed again the ones of that kind and bearded man of curious questions. 

I wonder if Prizren is the right place where to teach children how to use stilts and to dance to the tune of gypsy soundtracks. I review the few bits I know about Kosovo. Walls are found at every corner, deaths from both sides and unburied memories. The destruction of the Orthodox heritage, the shadows of a war, a land where centenarian bodies were unburied to fuel a new anger. The unrealistic beauty of the monasteries located in the region of Metohija, and the monuments built to commemorate the Kosovo Liberation Army.

The bazookas destroyed the frescoes, the concrete covered the dry-stone walls and blooming gardens became open air dumps. A land where organ trafficking happened, where the enemies’ bodies were gutted and thrown into the countryside so that none could ever looked at them as fields of wheat. Humans who have never been found. Is learning to walk on stilts what these young lives from Velika Hoča need? How on earth could I teach to these kids to photograph this surrounding through their enchanted eyes? Kosovo, such a difficult land. A never-ending war happening in the hart of Europe. 

“When you travel look with new eyes", I tell in the afternoon to the child who has never come out of the enclave to walk on the meadows of neighbors. You can have new eyes even for the things you know. Photography is a story of who you are, of your soul. It is detachment and participation. It means being inside things, but with the ability to see and recognize them. It allows you to be very close to people but in a different way. It is the game of the eyes. ..."

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