La collezione del Centro Internazionale di Fotografia del Comune di Verona si è formata lentamente a partire dalla donazione da parte di Douglas Kirkland di un portfolio con le fotografie che giovanissimo fece a Marilyn Monroe.

Da qui era invalso l’uso di richiedere ai fotografi che esponevano presso il Centro, in una mostra o in una collettiva, di lasciare alcune stampe. Non sempre è stato possibile, ma in questo modo l’archivio nel tempo è aumentato. Nel 2006 Lanfranco Colombo, il grande nume tutelare della Fotografia in Italia ha lasciato al Centro una parte della sua collezione. Un lascito prezioso pur nella sua articolazione disomogenea data dal fatto che gli autori, alcuni divenuti poi famosissimi, spesso inviavano scatti singoli a Colombo per proporre una mostra presso Il Diaframma, la sua galleria milanese.

Il Centro ha già partecipato al festival Grenze lo scorso anno con un’altra piccola selezione di scatti. Per l’edizione di quest’anno il tema periferia/periferie ha offerto la possibilità di scegliere tra le fotografie lasciando che le suggestioni della parola suggerissero il percorso.

Periferia in greco antico significa circonferenza dal verbo peri-fero portare in giro, girare e sottende quindi l’esistenza di un centro. Questa idea del centro ha guidato nella scelta, forse inaspettata, di una fotografia astratta come Fotogramma 26 di Luigi Veronesi: due spirali che si intersecano con i centri che sembrano scivolare uno dentro l’altro quasi ad annullarsi.


Allargando il significato periferia è ciò che trovandosi fuori da un centro è ai margini, lontano, contrastante, differente.

Dal punto di vista dell’ottica per visione periferica si intende la capacità del nostro occhio di cogliere contemporaneamente ciò che accade in altre direzioni oltre a quella centrale. Nel modo di dire comune si dice che si è visto con la coda dell’occhio quando qualcosa è successo intorno a noi ma non era al centro del nostro sguardo.

La macchina fotografica è uno strumento ottico, coglie un frammento di ciò che, attraverso l’occhio umano, il fotografo vede in quell’istante al centro della sua visione. Ma mentre la nostra visione umana muta continuamente quella dello strumento congela l’ istante. A seconda della lunghezza focale dell’obiettivo la fotografia coglie di quell’istante i particolari sia vicini che lontani, in ogni punto dell’inquadratura.

Il fotografi spesso hanno scardinato questa caratteristica della fotografia , utilizzando filtri, tempi lunghi, tecniche come il panning e la sfocatura per destrutturare l’immagine e renderla simile a ciò che si scorge con la coda nell’occhio. Con la mostra Twospirits Mauro Fiorese aveva nel 2001 unito il suo lavoro a quello di un fotografo che sentiva a lui molto vicino Keith Carter, in ambedue la ricerca dei limiti della fotografia andava di pari passi con la ricerca poetica ed è parso giusto, a vent’anni da quell’esposizione, presentarli ancora insieme con due opere Road to Assisi ( Carter) e Apparita 2 (Fiorese) .

Di Christopher Morris, uno scatto della guerra in Cecenia con il quale aveva partecipato alla mostra Inviati di Guerra. Otto reportage fotografici del 2004. Morris sfuoca il soldato che sta uscendo da un edificio per rendere la concitazione dell’azione di guerra e pare quasi voler citare il fuori fuoco, involontario, dello sbarco in Normandia di Robert Capa.


Nell’accezione più comune periferia è collegata all’urbanistica, le periferie sono tutti quei luoghi che non appartengono al nucleo storico delle città e che spesso in tutte le grandi metropoli si assomigliano: casermoni costruiti velocemente e che con il tempo hanno subito il degrado che il cemento, nato come materiale eterno, inevitabilmente subisce.

La fotografia ha indagato e indaga continuamente le periferie delle città.

Gli urbanisti si interrogano sul modo di interpretare le periferie quando queste sembrano perdere di senso. “Il terzo paesaggio” teorizzato da Gilles Clement, individua il frammentato spazio di risulta che nasce e rimane fuori dalla progettazione, tutti quei luoghi abbandonati dall’uomo che vivono di vita propria, aree industriali dismesse, ma anche le riserve naturali, parchi. Queste riflessioni hanno suggerito la scelta, in parte obbligata, di due immagini di Gabriele Basilico, sicuramente il fotografo che con più rigore e costanza ha dedicato il suo lavoro alle periferie, e due scatti di Foto Gorzegno, che rappresentano il piazzale davanti a Porta Nuova prima e dopo i lavori negli anni ‘60, quando anche Verona si stava espandendo. Interi quartieri di edilizia popolare cresciuti negli anni dello sviluppo economico esemplificati dal volto di una donna sfrattata mentre sta cercando il suo nome in una lista di nomi per un alloggio popolare: uno scatto di Mauro Galligani, dalla mostra Imagina 1950-1997.

Lo scatto di Walter Mori sul set del film Deserto rosso di Michelangelo Antonioni: il regista e Monica Vitti in primo piano sullo sfondo del petrolchimico di Ravenna, periferia industriale e desolata degli anni 60.

La suggestione del “terzo paesaggio di Clement ha invece portato a selezionare due fotografie dei fratelli Bassotto Sorgà, distributore di carburante e Ronco all’Adige, Villa Camozzini, ma anche uno scatto di Frans Lanting, sicuramente uno dei più famosi fotografi naturalisti al mondo.

Un altro straordinario fotografo naturalista, David Doubilet, è presente con uno scatto subacqueo, gli oceani, i mari come periferie dei nostri mondi terrestri, dove vivono migliaia di creature incredibili e misteriose.


Dal centro si può anche allontanare verso l’esterno ciò che non si ritiene degno, escluderlo. Sono nati luoghi dove confiniamo ciò che non può stare nel centro, perché è brutto, pericoloso, o solo diverso. Ciò che non vogliamo sapere o vedere, i mattatoi ad esempio, i manicomi e i campi profughi. Una scelta di immagini che provengono dal fondo Colombo e alcuni scatti di John Phillips dalla mostra che il Centro gli ha dedicato nel 2010.

Pino Dal Gal, serie Chicken story

Francesco Cito, Gaza, campo profughi

Ron Haviv, campo rifugiati

Carla Cerati, Morire di classe

Berengo Gardin, istituto psichiatrico

John Phillips, San Giacomo alla Tomba Verona

Molte delle fotografie della collezione provengono da mostre dedicate al fotogiornalismo e spesso sono immagini che rappresentano le conseguenze della guerra sulle persone e sui luoghi. La riflessione sulla periferia si conclude quindi con la considerazione che la guerra, gli atti di terrorismo omologano i luoghi nella distruzione facendo di ogni centro periferia desolata.

Gary Knight, Afghanistan

James Nachtwey New York settembre 2001

Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri - Home page (comune.verona.it)

ENG VERSION

The collection of the Photography International Center of Verona City was slowly formed starting with the donation by the young Douglas Kirkland of a portfolio with photos of Marilyn Monroe that he took.

From this point on, it became customary to ask photographers who exhibited at the Center, in an exhibition or in a group show, to donate some copies of their work. That has not been always an easy task to achieve, however, by doing so, the archive has grown over time. In 2006, Lanfranco Colombo, the great patron saint of photography in Italy, left behind at the Center, part of his collection. A precious legacy even in its uneven articulation due to the fact that the authors, some of whom later became very famous, often sent single shots to Colombo to propose an exhibition at the "Il Diaframma", his gallery in Milan.

The Center, has already participated in the Grenze festival last year with another small selection of shots. For this year's edition, the theme periphery/peripheries offered the possibility to choose between photographs, letting evocative words suggest a direction.

Periphery, in ancient Greek, means circumference, from the verb peri-fero, to bring around, to turn, and therefore implies the existence of a center. This idea of the center, led to the choice, perhaps unexpected, of an abstract photo such as "Fotogramma 26" by Luigi Veronesi: two spirals that intersect with centers that seem to slide into each other almost to cancel each other out.

Broadening the meaning of the term, the periphery is (being outside a center) something on the margins, far away, contrasting, different.

From an optical standpoint, peripheral vision means the ability of our eye to simultaneously grasp what is happening in different directions other the central one. To put it in simple words, it's like we looked with the eye tail when something happened around us but was not in the center of our gaze.

The camera is an optical instrument that captures a fragment of what, through the human eye, photographers see in a specific instant at the center of their vision. But while our human vision changes continuously, the vision of this tool freezes the instant. Depending on the focal length of the lens, a camera captures the details of that instant, both near and far, at every point of the frame.

Photographers have often undermined this characteristic of photography, using filters, long times, techniques such as panning and blurring to deconstruct the image and make it similar to what we see out of the eye tail. In 2001, with the exhibition

"Twospirits" Mauro Fiorese, joined his work to that of the photographer "Keith Carter" who felt very close to him. The search for the limits of photography that both have, went hand in hand with the poetic research and it seemed right, twenty years after that exhibition, to introduce them together again with the two works "Road to Assisi (Carter) and "Apparita 2" (Fiorese).

A shot of the war in Chechnya by Christopher Morris, which he submitted for his participation in the exhibition "Inviati di Guerra". Eight photographic reportages of 2004. Morris blurs the image of a soldier coming out of a building in order to render the excitement of the war action and almost seems to want to quote Robert Capa's unintentional out of focus shot of the Normandy landings.

As a basic definition, periphery is about urban planning. The suburbs (peripheries) are all those places which don't belong to the historical nucleus of the city and that often in all the great metropolises, resemble each other: barracks built rapidly and that over time have suffered the degradation that concrete, born as an eternal material, inevitably undergoes.

Photography has investigated and keeps investigating the city suburbs.

Urban planners question the way to interpret the suburbs when they seem to make no more sense. "The third landscape" theorized by Gilles Clement, identifies the fragmented space that arises and remains outside the design, all those places and industrial areas abandoned by humans who live their own lives, but as well nature reserves and parks. These observations, inevitably brought to choosing two images by Gabriele Basilico (definitely a photographer who has most rigorously dedicated his work to the suburbs), and two shots by Foto Gorzegno (which portray the square in front of "Porta Nuova" before and after the construction in the 1960s, when Verona was still expanding).

Entire social housing neighborhoods that grew in the years of economic development, illustrated by the face of an evicted woman as she is looking for her name in a list of names for social housing: a shot by Mauro Galligani, from the exhibition "Imagina" (1950-1997).

The shot of Walter Mori on the movie set of "Deserto Rosso" by Michelangelo Antonioni: the director and Monica Vitti in the foreground against the backdrop of the petrochemical plant in Ravenna, an industrial and desolate suburb of the 1960s.

The suggestion of Clement's "third landscape" instead led to the selection of two photographs by the Bassotto Sorgà brothers, fuel station and Ronco all'Adige, Villa Camozzini, as well as a shot by Frans Lanting (one of the most renowned nature photographers around the world).

Another extraordinary naturalist photographer, David Doubilet, is present with an underwater shot, the oceans, the seas as peripheries of our terrestrial worlds, where thousands of incredible and mysterious creatures live.

From the center we can also exclude and push outward what we do not deem worthy. Places have arisen, where we confine what we don't want in the middle, what we consider ugly, dangerous, or just different; what we don't want to know or see, like slaughterhouses, asylums and refugee camps. A selection of images from the "Colombo fund" and some shots of John Phillips from the exhibition that the Center dedicated to him in 2010.

Pino Dal Gal, "Chicken story" series

Francesco Cito, Gaza, "refugee camp"

Ron Haviv, "refugee camp"

Carla Cerati, 'Dying in class"

Berengo Gardin, "psychiatric institute"

John Phillips, "San Giacomo alla Tomba" Verona

Many of the photos in the collection come out of exhibitions dedicated to photojournalism and are often images that portrait the consequences of war on people and places. The reflection on the periphery (and suburbs) concludes with the consideration that war and acts of terrorism standardize places in destruction, turning every center in a desolate suburb.

Gary Knight, Afghanistan

James Nachtwey, New York, September 2001